Fate giardini! Veri giardini naturalmente. Luoghi indomiti e fuorilegge (…).
Tracciate il vostro disegno sulla faccia della Terra, che si presta sempre volentieri ai sogni dell’uomo, piantate un giardino e prendetevene cura. (…) Lavorate con i poeti, i maghi, i danzatori e tutti gli altri artigiani dell’invisibile per rimettere al suo posto il mistero del mondo. Ciò facendo, affronterete le forze contrarie che oggi sembrano più potenti che mai. Non opporrete al sistema vigente un’ideologia o un progetto politico, ma un semplice luogo coi suoi valori. Non avrete il desiderio assurdo di cambiare il mondo: farete solo un piccolo spazio alla vita. (…)

Per parlarvi del festival di quest’anno abbiamo scelto questo brano estrapolato da un libricino dal titolo E il giardino creò l’uomo – un manifesto ribelle e sentimentale per filosofi giardinieri di un certo Jorn De Précy. Racconta della storia vera dell’autore che invece è una storia inventata da chi ne ha curato la pubblicazione e cioè lo scrittore e storico dei giardini Marco Martella.
Eppure a questa storia abbiamo creduto subito, con un’immediata sospensione dell’incredulità. Come accade per il teatro, dove si entra in una dimensione in cui vengono costruiti mondi che ci appaiono più verosimili del reale.
Ci siamo affezionati a questo personaggio, una figura di giardiniere gentile che ha coltivato il suo sogno per tutta la vita, con il tempo, in disparte, con la massima cura e perseveranza. E ci siamo indentificati perché il suo lento creare le condizioni affinché qualcosa potesse crescere e svilupparsi, anche fuori da uno stretto controllo, ci riguardava. In fondo noi prepariamo il terreno, seminiamo, curiamo, stiamo in ascolto, accettiamo il tempo dell’attesa, raccogliamo, custodiamo e spesso in scenari difficili, talvolta ostili. Insomma possiamo definirci dei veri e propri giardinieri!

Questo piccolo libro dice tutto quello che c’è da dire riguardo alla direzione in cui da anni si muove il lavoro del Teatro delle Moire attraverso le proprie azioni e attraverso Danae Festival che giunge quest’anno alla sua XXVI edizione.
Dice dell’ascolto e della cura. Dice dell’andare a sostenere ciò che r-esiste, ciò che opera nascostamente. Dice di mettere al centro ciò che viene considerato periferico e che spesso lo è per scelta. Dice che più delle rivoluzioni e delle battaglie armate, può la trasformazione che è la via dell’arte.

E sul filo dell’arte mi piace ricordare Il giardino di Derek Jarman, l’ultimo libro scritto dal famoso cineasta, in cui racconta come nel più inospitale dei luoghi, di fronte alla centrale nucleare di Dungeness nel Kent, creò un’opera di incredibile bellezza: il suo giardino paradiso. Una sorta di atto di resistenza, ma anche un’azione di meditazione e sogno di bellezza e speranza in uno scenario abbrutito e brutale.

Osservando in modo particolare la programmazione di quest’anno ci siamo resi conto che molti dei progetti che ne fanno parte sono l’approdo di un lungo processo avviato con gli artisti e le artiste che data anche di due-tre anni, fatto di incontri, scambi e di attenzione alle necessità e alle propensioni, per far germogliare e dar forma ai desideri.
Ci è apparsa, quindi, nitida l’immagine del giardino, dove tutti i giorni si affondano le mani nella terra, si affinano gli strumenti del coltivare, si immaginano alberi e piante non ancora cresciuti e fiori non ancora sbocciati. E in questo coltivare cerchiamo di esaltare le differenze, di proporre una biodiversità umana e culturale, mantenendo sempre al centro i corpi, i tanti corpi possibili, astenendoci da qualsiasi tentativo di inutile e insensata definizione.
Vi invitiamo dunque a venire a scoprire le nostre fioriture.
Buoni giardini!
Alessandra De Santis

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